CONTROVIRUS | Le relazioni ai tempi del Covid

di Clara Caverzasio,
divulgatrice scientifica

I rapporti umani sotto una lente di ingrandimento: è quello che a cui stiamo assistendo in questi giorni, anche qui da noi, a causa dell’obbligo all’isolamento sociale.

È una sorta di imprevisto e indesiderato esperimento: cosa succede se si lasciano gli individui, da soli in coppia o in famiglia, in isolamento per settimane?

Qualche conseguenza già si è vista in Cina, per esempio, dove alla riapertura degli sportelli pubblici dopo la quarantena, si è assistito a un boom delle richieste di divorzio. Secondo quanto riporta il quotidiano Global Times sembra infatti che le richieste di scioglimento dei matrimoni siano in forte crescita al punto che in certi distretti come quello di Xi’an si registrano  sportelli intasati di pratiche e di persone in attesa di separazione e divorzio. Certo, in parte si tratterà sicuramente di persone che avevano già in animo di divorziare e che hanno dovuto far passare il periodo di chiusura degli uffici, che ora si ritrovano particolarmente sotto pressione. Ma probabilmente la convivenza forzata in casa per settimane può aver minato molti rapporti: ritrovarsi di colpo a convivere 24 ore su 24 tra quattro mura ha messo a dura prova le coppie, soprattutto quelle già in crisi.
D’altro canto c’è chi preconizza,  -da noi almeno, dove non c’è un limite al numero di figli consentito come in Cina-  un boom di nascite tra 8-9 mesi, segno che ci sarà anche chi saprà vivere l’isolamento in una vicinanza piacevole (o almeno si spera; e il pensiero va ovviamente a tutte quelle donne che si ritrovano ora a dover vivere tutto il giorno a stretto contatto con un uomo violento).


Ma probabilmente ci sorprenderemo nel constatare che, malgrado tutto, si tenderà a un nuovo stato di equilibrio, provvisorio, perché, come succede in Natura ‘equilibrio’ significa ‘stasi’ e in ultima analisi ‘morte’. È la situazione finale dell’Entropia, il secondo principio della termodinamica, secondo il quale un sistema isolato si trasforma ed evolve nel tempo fino a raggiungere uno stato di equilibrio finale, passando così da una situazione iniziale di disordine (caos) a una finale di ordine, dove però non c’è più spinta al cambiamento, e dunque non c’è più vita. L’equilibrio diventa perfetto ma il sistema è morto.
Quale sarà questo nuovo equilibrio di un periodo come quello che stiamo vivendo a livello globale?  Quale e come sarà l’’entropia sociale’, il nuovo equilibrio che andrà creandosi? Ancora non lo possiamo sapere.
Di sicuro sarà una bella e importante opportunità per capire a che punto siamo sia individualmente,  – un’occasione per riattivare un dialogo profondo con noi stessi, con la nostra interiorità, con i nostri veri bisogni-,  che socialmente: ora che siamo costretti all’isolamento sociale, a vivere tra le quattro mura di casa da soli o in coppia o con la propria famiglia, con tutte le conseguenze e i risvolti positivi e negativi che questo sta creando e mettendo in luce, forse ci si renderà conto di quanto abbiamo dato per scontato e abbiamo trascurato le relazioni umane, magari vissute freneticamente e un po’ superficialmente; e di quanto poco siamo ormai abituati a costruire e coltivare attivamente i rapporti. Con piccoli gesti, piccole attenzioni, piccoli sforzi quotidiani, con l’ascolto e con il silenzio, con regole chiare basate sul rispetto reciproco, che ora più che mai saranno necessari.
E forse più in generale, ci si renderà anche conto di quanto i rapporti umani, grazie anche ai social -pur importantissimi soprattutto in questo momento di quarantena-, siano diventati facili e superficiali, liquidi, intercambiabili con un semplice clip, o un Mi piace.. Di come si sia perso il senso di comunità, e con esso anche il senso di responsabilità verso gli altri e sé stessi.
Di quanto magari siamo già stati fin qui isolati, perché disconnessi in profondità dagli altri esseri umani, con i quali ora è necessario costruire o ritrovare una comunanza vera, solida, che, sola, potrà farci evolvere come specie. Perché, ricordiamoci, questo esserino invisibile che ci tiene in scacco, il virus, si sta evolvendo con successo da ben 3 miliardi di anni.

di Clara Caverzasio

CONTROVIRUS | Effetto Florida

di Massimiliano Sassoli
de Bianchi, fisico e scrittore italiano

Quale effetto può indurre su di noi il costante bombardamento massmediatico cui veniamo sottoposti in questo momento di emergenza sanitaria? Oltre al contagio da coronavirus, che si trasmette per via aerea, non sarebbe saggio occuparci anche di quel contagio più sottile, che si trasmette per via etere, la cui natura non è certo meno insidiosa?
Il semplice fatto di essere esposti in continuazione a determinate parole (o immagini) è in grado di produrre in noi dei cambiamenti comportamentali anche rilevanti, e questo senza che ne siamo necessariamente consapevoli. Questo effetto “ideomotorio” è noto con il nome di “effetto Florida”, a causa di un celebre esperimento condotto negli anni Novanta dallo psicologo John Bargh e collaboratori.

Questi chiesero a degli studenti di formare delle frasi compiute di quattro parole a partire da frasi sconclusionate di cinque parole. Alcune di queste parole evocavano la vecchiaia, come “Florida” (luogo in cui si trasferiscono molti pensionati americani), “calvo”, “smemorato”, “grigio”, ecc. Una volta terminato il compito, agli studenti veniva chiesto di recarsi in un’altra stanza per effettuare un secondo esperimento. Per fare questo, dovevano attraversare un lungo corridoio. I ricercatori, senza farsi notare dagli studenti, calcolarono allora il tempo che impiegavano gli studenti per recarsi da un capo all’altro del corridoio. Scoprirono così che quelli che avevano composto frasi a partire da parole che evocavano la vecchiaia si muovevano in media molto più lentamente di quelli appartenenti a un campione di riferimento, che avevano ricevuto delle parole senza alcuna corrispondenza con la vecchiaia. Si è poi scoperto tramite ulteriori esperimenti che l’effetto ideomotorio funziona anche al contrario. Ad esempio, se per un po’ camminiamo lentamente, ad esempio a un terzo del ritmo normale, diventeremo molto più efficienti nell’individuare in un testo delle parole correlate alla vecchiaia.

Questi effetti di sensibilizzazione (detti “priming”) sono oggi ben studiati e possono assumere innumerevoli forme. Per chi è interessato a questo argomento non posso che consigliare il libro del premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman, dal titolo Pensieri lenti e veloci (Oscar Mondadori).

Ora, per tornare alla situazione particolare che stiamo vivendo in questo momento, possiamo chiederci: quale effetto sta avendo sul nostro mentale, e quindi sui nostri comportamenti, il lasciarsi “infettare” in continuazione dalle stesse notizie, che come un nenia ci ripetono sempre le stesse cose, sulla minaccia del pericolo invisibile che si annida nell’aria che respiriamo, sulle condizioni respiratorie in cui versano una percentuale dei contagiati, sulle misure insufficienti nell’arrestare la crescita del numero di infetti, sulla carenza di posti attrezzati negli ospedali, ecc.?

Naturalmente, è importante rimanere informati su tutto ciò che accade, per poter agire in modo tempestivo e responsabile. In questo modo, possiamo ridurre al massimo il rischio di contrarre il virus e proteggere ogni persona con cui interagiamo. È importante però proteggersi anche dall’effetto “ideomotorio” e “ideo-emotivo” derivante da questo constante bombardamento massmediatico cui veniamo sottoposti. Stiamo tutti partecipando a un esperimento psicologico continuativo, dove come piccole cavie veniamo ripetutamente e assiduamente esposti a parole e immagini che evocano in noi paura e senso di impotenza. Ne siamo consapevoli? Siamo consapevoli di quali emozioni e comportamenti sono in grado di innescare in noi queste parole (e immagini) ripetute in modo quasi ossessivo? Erano consapevoli gli studenti che hanno partecipato all’esperimento di Bargh, che nel corridoio stavano camminando più lentamente? E chiediamoci anche: il nostro sistema immunitario, combatte meglio il virus quando siamo immersi in un clima interiore di paura, o quando invece siamo in grado di permanere in una condizione di calma e lucidità? La risposta è evidente.

Cerchiamo allora, nella misura del possibile, di prestare più attenzione alla natura e qualità delle impressioni che incessantemente ci suggestionano e condizionano. Viviamo nella cosiddetta “era dell’informazione”, quindi mai come oggi è necessario preoccuparci dell’igiene non solo del nostro corpo fisico, e degli spazi fisici che frequentiamo, ma anche e soprattutto dell’igiene del nostro corpo psichico, e degli “spazi semantici” nei quali ci troviamo immersi, spesso nostro malgrado. Cerchiamo di evitare di percorre quel lungo corridoio come zombie telecomandati, in preda a un’ansia e una paura di cui non conosciamo più la vera ragione. Come avrebbe detto Eric Berne, psicologo autore della teoria dell’analisi transazionale, possiamo rompere la nostra transazione con il terrore, e per fare questo può essere sufficiente un gesto semplicissimo: premere il tasto che spegne il nostro televisore, la radio, il computer, o addirittura il nostro smartphone! È come battere a scacchi un’intelligenza artificiale potentissima, facendo una mossa che non si aspetterebbe mai: staccargli la spina!

Ovviamente, questo è solo il primo passo. Quando ci troviamo in una condizione di maggiore silenzio esteriore, possiamo riflettere con più attenzione e spingerci più in profondità. Ad esempio, possiamo osservare che ogni crisi, come indica l’etimologia della parola, presuppone la possibilità di una nuova scelta. Se non ci facciamo prendere dal panico, se rimaniamo sufficientemente lucidi, possiamo usare questo momento privilegiato per porci alcune domande fondamentali.

Quanto siamo in grado di rimanere stabili di fronte agli eventi della vita? Quante risorse psicofisiche possediamo, realmente? Siamo in grado di fronteggiare eventi anche drammatici senza crollare? E nelle situazioni difficili, siamo una persona di riferimento per gli altri, che offre sostegno e soluzioni, oppure diveniamo parte del problema?

Se ci accorgiamo di essere carenti in termini di risorse interiori, cosa stiamo facendo in questo momento per migliorare la nostra situazione, affinché la prossima crisi non ci colga impreparati? E ancora: quando spegniamo la televisione, il computer, il cellulare, quando esteriormente creiamo maggiore silenzio, siamo poi in grado di coltivare un silenzio interiore di sufficiente qualità? Quanto è alto il volume del nostro bombardamento massmediatico intrapsichico? Siamo capaci, anche solo per dieci minuti, di sederci con la schiena bene eretta, portare attenzione e dilatare il nostro respiro, quindi fare esperienza che, semplicemente, siamo vivi, e che nel nostro “qui-e-ora” tutto va bene?

di Massimiliano Sassoli

CONTROVIRUS | Difendersi dall’effetto gregge


di Gian Carlo Cocco, 
docente universitario e consulente di management

Il processo mentale che spinge a seguire il comportamento collettivo è molto simile a quello del contagio. Il processo psicologico dell’imitazione, che può anche essere utile in diverse circostanze, si trasforma spesso in un pericoloso e subdolo tranquillante, addormentando l’autonomia di giudizio e il buonsenso. Si tratta di trasmissione di idee, comportamenti, percezioni, sentimenti che avviene con modalità automatiche.

Nel campo economico e finanziario l’imitazione del comportamento degli altri è molto diffusa: si pensi all’effetto estremamente negativo di appiattirsi sugli investimenti prevalenti (fino alla creazione delle devastanti bolle speculative). In pratica, parafrasando Mozart, si tratta della modalità definita: così fan tutti…

L’andamento dei mercati dipende fortemente dalla tendenza a seguire decisioni degli altri. La moda, in particolare, si basa proprio su questo irresistibile processo di adeguamento. Ma l’effetto gregge manifesta tutta la sua pericolosità nelle situazioni di crisi.
Quando accadono fenomeni negativi di una notevole entità (terrorismo, fallimenti, epidemie, guerre, ecc.), i mercati tendono a reagire al ribasso alimentati non solo dalla paura, ma soprattutto dall’effetto imitativo originato dalla paura stessa. Anche quando si sparge la voce che un bene potrebbe venire a mancare, la corsa ad accaparrarselo può divenire paradossale. In sostanza, la trappola dell’effetto gregge si espande quando il controllo sociale utilizza esclusivamente leve emotive sollecitate dalla paura.

Nel caso delle epidemie l’effetto gregge può avere conseguenze gravissime sia diffondendo il panico (e quindi comportamenti privi di un minimo di razionalità che originano effetti controproducenti), sia diffondendo opposizione a rispettare norme di pubblica utilità (perché l’opinione diffusa nei gruppi di riferimento, magari supportata da diffuse fake news, contesta l’autorità di chi ha emesso le norme stesse).

Per difendersi dall’effetto gregge occorre utilizzare un sano spirito critico che nelle situazioni di emergenza rappresenta una sorta di “vaccino” contro il panico esplicito (abnorme e visibile) e il panico implicito (subdolo e non visibile). La domanda chiave da porsi è: “Perché tante persone reagiscono in questo modo?”. Il solo ricercare le alternative di risposta consente di intravedere se effettivamente si tratta dell’unico comportamento possibile o se esistono alternative più efficaci. Ma soprattutto nelle situazioni di emergenza, se si riesce a sfuggire al cosiddetto “sano egoismo” non solo si riesce a fare il bene degli altri, ma spesso anche il proprio.

Come dice Massimo Piatteli Palmarini: “tutti noi veniamo al mondo con paraocchi mentali che ci indirizzano verso tunnel cognitivi, emotivi e percettivi”. Queste trappole mentali non possono essere del tutto eliminate, ma tentare in qualche modo di aggirarle o di limitarle è un esercizio estremamente proficuo, certamente nelle situazioni di epidemia. Va recuperata la facoltà di riflessione che negli ultimi tempi è stata oscurata dalla tendenza a rimanere superficialmente connessi al bombardamento incessante delle informazioni. Come dice Daniel Goleman nel suo libro Focus, fermarsi a riflettere, concentrare, quando è necessario, la propria attenzione, rappresenta il più potente antivirus mentale che possiamo schierare contro la superficialità, la reattività inconsapevole, le trappole mentali e, in particolare, per difenderci dall’effetto gregge.

di Gian Carlo Cocco

CONTROVIRUS | Vivere grazie e oltre la paura

Ascolta “CORSIVO VIRUS PAURA CERVELLO” su Spreaker.

Dagli scantinati alla sala controllo del nostro cervello

di Clara Caverzasio,
divulgatrice scientifica

La mente, diceva Einstein, è come un paracadute, funziona solo se si apre; se riusciamo dunque ad attivare tutte e tre le aree essenziali del cervello, che controllano il nostro comportamento: il complesso rettiliano, detto anche cervello primitivo, che reagisce al pericolo; il sistema limbico che sente emozioni e sentimenti; la neo-corteccia che ragiona e progetta.

Immaginiamo il nostro cervello come una palazzina a più piani: le prime due aree, quelle più antiche corrispondono un po’ ai  livelli inferiori del nostro edificio, e hanno più a che fare con le risposte automatiche e il subconscio.

La neocorteccia, invece, è molto più simile alla sala di controllo e di comando di una missione. Ed è spesso descritta come il cervello esecutivo, soprattutto i lobi frontali, noti per ospitare i più alti livelli delle nostre abilità di pensiero e di pianificazione.

Queste tre sezioni funzionano in modo gerarchico, seguendo un principio: gli impulsi più basici vengono progressivamente raffinati e infine razionalizzati. Ecco perché la paura è la più ancestrale delle emozioni, un’emozione sviluppata per tenerci lontani dal pericolo; è un segnale d’allarme fondamentale per capire che qualcosa non va. Non sorprende dunque che si sia evoluta nella maggior parte delle specie animali: la gazzella, davanti a un leone, scappa.

Come sarebbe vivere senza paura? Come sarebbe la nostra vita se non temessimo più il dolore, i pericoli, la morte? Forse molto, molto più breve: è evidente che la paura ci aiuta a sopravvivere, a evitare proprio i pericoli letali e le situazioni che ci possono danneggiare. Quindi se da un lato ci crea disagio, dall’altro potenzia le nostre capacità di difenderci stimolando l’attenzione, la cautela, e rendendoci più reattivi. In un momento di pericolo, la paura diventa una preziosa alleata per mettere in atto tutte le difese e i comportamenti necessari per superare il momento difficile.

Ma proprio perché l’essere umano conserva un cervello primitivo, noi “siamo seduti su mondi atavici e ripetiamo senza saperlo la psicologia dell’atavismo cioè di come hanno vissuto le pesti le epoche che ci hanno preceduti”, come ha ricordato lo psichiatra Raffaele Morelli; perciò stiamo vivendo questa emergenza coronavirus esattamente come il Manzoni descriveva la peste del ‘600: la stessa psicosi che serpeggiava nel popolo, le stesse dispute fra scienziati (fra chi minimizzava e chi estremizzava), sino ai lazzaretti sovraffollati e vicini al collasso.

Ma la nostra psiche però non è soltanto la psiche che abbiamo ereditato dai nostri avi, è anche razionalizzazione, è raffinamento di quegli impulsi primitivi che ci fanno percepire un pericolo; è anche altruismo, affettività, generosità, creatività. È ciò che ci permette, o ci dovrebbe permettere, di non lasciare che la paura prenda il sopravvento, evitando così che le aree del cervello più antico, che sono collegate non solo alle emozioni più ancestrali ma anche agli ormoni e al sistema immunitario, indeboliscano le nostre difese e ci rendano paradossalmente più vulnerabili (anche ai patogeni).

Ed è anche ciò che ci consente di tramutare la paura, che questo virus infonde, in opportunità: l’occasione per ripensare individualmente e collettivamente il nostro modo di vivere e di essere, per mettere a frutto le straordinarie risorse della nostra mente, evitando di rimanere confinati negli scantinati del nostro cervello. La sala comando è lì che ci attende.

di Clara Caverzasio

CONTROVIRUS | Usiamo il cervello

di Viviana Kasam
Presidente di BrainCircle Italia

La nostra vita è sospesa. I programmi rimandati a non si sa quando. La presenza dei nostri cari, figli, nonni, amici, bruscamente amputata. Galleggiamo nell’incertezza. Come in tempo di guerra, coprifuoco, negozi chiusi, ospedali sovraffollati. Solo che mentre in guerra il nemico è identificato, esterno a noi, oggi il nemico si annida ovunque, dentro la nostra cerchia più intima, nel fattorino che ci porta un pacco, nel barista che ci prepara il caffè, nella collaboratrice che assiste i genitori invalidi, nel collega che divide con noi l’ufficio. Affrontiamo l’emergenza senza corazze, a mani nude, l’unica prevenzione è quella di isolarci, come animali dentro la tana, chiedendoci ossessivamente chi abbiamo incontrato negli ultimi tempi che potrebbe averci contagiati.

Ma questo momento difficile può anche essere un momento di crescita, come un rito di iniziazione che ci porta a un livello più alto di consapevolezza. Una prova formativa.

Uno scienziato che stimo molto, Massimiliano Sassoli de’ Bianchi, docente presso il Centro Leo Apostel for Interdisciplinary Studies della Vrije Universiteit di Bruxelles mi ha suggerito una metafora che mi sembra molto calzante. “Il coronavirus è un hacker creato dalla natura per mostrare le vulnerabilità del nostro sistema, prima che collassi completamente”. Un wistleblower, insomma, come Julian Assange, o Kevin Mitnick o Edward Snowden per metterci in guardia contro il nostro dissennato stile di vita che sta distruggendo il Pianeta.

I campanelli d’allarme suonavano da un pezzo. Greta e il suo appello per fermare il collasso ambientale, i no global con la denuncia di un sistema produttivo che ha distrutto le piccole e medie aziende e di una finanza che ha divaricato sempre di più la forbice tra super ricchi e poveri, il consumismo esasperato che produce tonnellate di rifiuti che non sappiamo come smaltire, il surriscaldamento globale con l’alternanza di uragani, siccità e inondazioni, le isole di plastica che uccidono i mari, il turismo di massa che ha reso invivibili le città d’arte e i paradisi naturali, inquinato cieli e mari, e alterato gli equilibri culturali e sociali. E il campanello più inquietante di tutti: i milioni di profughi che fuggono da terre che non producono più il necessario a nutrirli e dove l’acqua scarseggia – i tanto vituperati migranti “economici” che i Paesi ricchi considerano di serie B, come se morire di fame fosse meno grave che morire di bombe. E come se noi italiani non fossimo stati profughi economici – ben 20 milioni nel secolo scorso cercarono all’estero un futuro migliore.

Circola sui social e su YouTube il filmato di Preeta Krishna, maestra di spiritualità e filosofia indiana, che ci avverte che la Natura nei millenni ha scartato le specie che mettono a repentaglio l’equilibrio globale del sistema. Se vogliamo sopravvivere per sempre, se vogliamo non finire scartati, dobbiamo essere di beneficio al Pianeta Terra, che invece stiamo distruggendo con il nostro egoismo, la nostra superbia, la erronea convinzione che il mondo sia stato creato per noi ed è a nostra disposizione. Il vero virus non è il Covid-19, siamo noi e la nostra insensibilità per ciò che ci circonda, animali, natura, mari e cieli spiega Preeta. E se avesse ragione?

Proviamo allora a utilizzare questo periodo di quarantena per rivedere il nostro modo di vivere, per ritrovare valori che avevamo dimenticato: tempi rallentati, invece che la dissennata accelerazione del nostro quotidiano; rapporti selezionati, invece degli inutili presenzialismi; viaggio con la mente, invece che con il corpo, attraverso la riscoperta delle buone letture; il piacere di dedicare tempo ai figli, alle attività domestiche che continuavamo a rimandare. E soprattutto riscopriamo la solidarietà e la responsabilità civile attraverso i nostri comportamenti.

Sono temi che tratteremo sul nostro sito attraverso i contributi dei nostri esperti. Ma soprattutto attraverso le vostre testimonianze, riflessioni, segnalazioni, proposte.

Scriveteci, mandate fotografie, filmati, selfie, contributi audio. Condivideremo i vostri contributi qui e sulla nostra pagina Facebook

ControVirus vuole creare una comunità di persone che scelgono di affrontare l’emergenza come un momento di crescita individuale e collettiva. Un modo per cambiare, migliorare, e sentirsi uniti, guardandosi dentro e interrogandosi. Finalmente abbiamo il tempo di farlo!

di Viviana Kasam