CONTROVIRUS | Essere responsabili

di Gabriele Nissim, presidente di Gariwo

A gennaio pensavamo che il Covid-19 fosse qualcosa di lontano, limitato alla sola Cina. Osservavamo la città di Wuhan e le altre province cinesi chiudersi in rigide quarantene e ci illudevamo che il virus, come altri prima di lui, non avrebbe raggiunto l’Europa, né modificato la nostra quotidianità. Ci sbagliavamo, e ce ne siamo accorti improvvisamente.

Forse può sembrare che la memoria dei Giusti non c’entri affatto in questa contingenza – che dovrebbe concentrarsi prima di tutto sulle disposizioni sanitarie del governo, delle amministrazioni e sul lavoro indefesso dei medici negli ospedali.

In realtà le vicende degli uomini Giusti che hanno salvato delle vite durante i genocidi e le peggiori crisi umanitarie mettono in risalto non una vocazione alla santità di alcuni uomini in particolare, ma il tema della scelta alla portata di tutti in qualsiasi situazione, in quanto dimostrano che esiste sempre la possibilità di usare il proprio spazio personale per fare del bene. È stato questo l’insegnamento fondamentale dei Giusti che con Gariwo fin dagli anni ’90 abbiamo cercato di fare conoscere.

Oggi possiamo vedere come la scelta nei confronti dell’altro è diventata la sfida per ognuno di noi. Seguire con cura le misure igieniche e accettare il sacrificio di una limitazione dei nostri movimenti significa non soltanto avere una cura di sé, ma diventare improvvisamente responsabili verso gli altri.

Ognuno di noi ha la possibilità, nel suo piccolo, di diventare un argine contro la malattia, accettando con serenità le disposizioni e dicendo la verità qualora avesse un sospetto sulla propria condizione. La salute degli anziani, i più esposti all’epidemia, dipende anche dalla nostra attenzione.
Non c’è tuttavia solo l’igiene del corpo, ma anche la cura della nostra anima, come sosteneva Etty Hillesum quando, prima di venire deportata, sosteneva che ognuno era chiamato a soffocare dentro di sé l’odio e la cultura del nemico per non soccombere di fronte a ogni forma di disumanizzazione.

In questo caso la paura del coronavirus può generare mostri e intolleranze. Lo abbiamo visto quando prima abbiamo guardato con sospetto tutti i cinesi per strada e poi ci siamo accorti che in Italia c’era chi guardava con sospetto i milanesi e nel mondo improvvisamente “i cinesi” siamo diventati tutti noi come italiani.
Ci siamo trovati di fronte alla scelta tra chiuderci nel nostro ego e dare la colpa sempre agli altri, oppure aprirci alla solidarietà e diventare messaggeri di speranza di fronte a chi si fa prendere dalla paura.

Il Coronavirus ci ha riportato improvvisamente alla consapevolezza della fragilità umana e ci ha fatto comprendere che non solo a casa nostra, ma in un mondo globalizzato, le contrapposizioni non portano da nessuna parte, ma è il gusto dell’umanità la terapia contro ogni forma di male.
È stato questo il punto di partenza che ha spinto gli uomini giusti a rischiare e ad agire in situazioni impossibili – dalle guerre, ai genocidi a tutte le crisi umanitarie. Essi hanno agito nell’ignoto, non immaginando quale potesse essere il risultato dei loro sforzi in situazioni dove sembrava impossibile la possibilità di un futuro diverso. I Giusti avevano compreso come l’esercizio del mestiere di uomo di cui parlava Marco Aurelio dovesse diventare la priorità.

Guardando oggi ai Giusti, in questa ricorrenza, non troveremo la soluzione magica per il nostro agire, ma ci potremmo ispirare per affrontare la crisi attuale. Se useremo la nostra immaginazione ci accorgeremo che tante storie esemplari del passato possono rivivere in atti di coraggio del nostro tempo. Mi viene in mente la vicenda del chimico russo Valerij Legasov, che sfidò il potere sovietico per prendere le prime misure dopo l’incidente nucleare di Chernobyl e fu emarginato per avere raccontato al mondo le responsabilità del regime. Oggi abbiamo visto una storia simile in Cina, dove il medico Li Wenliang, all’inizio di dicembre a Wuhan, osservando dei pazienti colpiti da polmonite si era accorto che c’era un virus sconosciuto. Egli fu il primo a parlare del pericolo sui social, andando incontro alla censura del regime che preferì per settimane nascondere il pericolo, mettendo così a rischio il mondo intero.

La narrazione di esempi positivi è un grande messaggio di ottimismo, perché mette in evidenza la possibilità del singolo individuo, che indipendentemente dal contesto può vincere la sua battaglia. Chi ha salvato un ebreo, un armeno, un profugo nel Mediterraneo non ha cambiato il mondo, ma nel suo ambito di libertà ha mostrato che gli eventi potevano andare in un’altra direzione. È un messaggero che rompe tutti gli schemi, perché mostra che nella storia non esiste mai un determinismo, ma tutto nasce sempre da una scelta collettiva o personale.

Abituare le società a raccontare i Giusti del mondo non è solo una modalità che insegna a sentirsi cittadini del mondo e a rompere le barriere ma, come scriveva il filosofo francese Pierre Hadot, è una forma di comunicazione indiretta che stimola le coscienze. La predica, scriveva, è un’imposizione molto spesso controproducente, mentre l’esempio costringe a pensare e a fare dei paragoni con la propria esistenza.

di Gabriele Nissim